Campagne e città nelle regioni d'Europa durante il Medioevo

Campagne e città nelle regioni d'Europa durante il Medioevo

 


 

La penisola italica


Nella penisola italica si trovano, durante il Basso Medioevo, le punte più avanzate di sviluppo economico e sociale. A questa realtà si contrappone una situazione politica di dipendenza nei confronti della potestà imperiale germanica (la dinastia Sassone).

Ciò dà origine a lotte nei confronti dell'Imperatore che hanno per protagonisti il Papato e i Comuni.

a) La lotta per le investiture. Per controllare e ridurre il potere dei signori i cui possessi si trasmettono automaticamente per generazioni, l'Imperatore germanico (Ottone I) si basa sempre più nell'amministrazione del regno su ecclesiastici (i vescovi-conti) ai quali concede privilegi e terre non trasmissibili ereditariamente. Questo rapporto imperatore-clero determina una commistione difficilmente risolvibile tra potere spirituale e potere temporale, subordinando il primo alle direttive del secondo. Per il Papa, che aspira anch'egli alla realizzazione, secondo l'ideale romano, dell'Imperium Mundi, è una situazione inaccettabile e perciò la contrapposizione fra le due massime potenze medioevali è inevitabile. Il dissidio scoppia appunto sul problema della investitura dei vescovi che il papato vuole sottrarre alla potestà imperiale rivendicando l'autorità spirituale sul clero e sull'imperatore. Dopo alterne vicende si giunge ad una risoluzione con il Concordato di Worms (1122) in cui formalmente si cerca di introdurre una linea di demarcazione fra rispettive sfere di influenza ma sostanzialmente proseguono, anche se attenuate, le interferenze e rimane viva la volontà di primato assoluto che anima le due autorità.

 

b) La lotta per le autonomie comunali. L'elevato sviluppo economico dei Comuni italiani mal si concilia con la dipendenza politica da una autorità lontana che assorbe risorse attraverso l'esazione di "regalie". [1965, Jacques Le Goff]

L'elaborazione della "Constitutio de regalibus" (1158) che precisa e sanziona rigidamente i diritti dell'Imperatore sui Comuni, spinge sempre più questi ultimi a contrastare individualmente le pretese imperiali e poi a federarsi nella Lega Lombarda. La vittoria della Lega nella battaglia di Legnano (1176) porta a sancire con la pace di Costanza (1183) l'autonomia politica dei Comuni (diritto di eleggere propri consoli, di costituire leghe, di tenere milizie, di erigere fortificazioni, ecc. ) mentre l'Imperatore conserva un ruolo di autorità puramente formale e ridotte entrate finanziarie.

Lo scontro fra Comuni e Impero, con gli avvenimenti che vi si intrecciano (ad es. le ribellioni dei grandi feudatari tedeschi), mettono in luce l'impossibilità di costituire una forte monarchia accentrata che domini le terre germaniche e quelle settentrionali della penisola italica. Si consolida invece lo stato di frazionamento comunale e regionale che, sia in Germania che in Italia, trova una ragione di ricomposizione solo nel momento dello scontro (attacco o difesa) con altre forze antagoniste.

A queste lotte politico-militari coinvolgenti regioni (Italia, Germania) che sempre più si vanno differenziando, si accavallano lotte interne alla penisola italica che vanno a sancire il predominio territoriale politico ed economico dei liberi Comuni. Il nuovo ceto comunale dominante (maestri delle corporazioni maggiori, mercanti, banchieri) si afferma infatti attraverso la lotta contro i signori feudali per la conquista dei privilegi di cui questi dispongono (controllo sui lavoratori, proprietà terriere, prelievi fiscali, strumenti giuridici e amministrativi). Il signore vinto è costretto ad inurbarsi in quanto ciò consente ai ceti urbani dominanti di

 

- tenere sotto controllo il signore;
- fargli spendere in città le sue rendite;
- portarlo ad assumere una mentalità diversa, più conforme ai valori del ceto urbano egemone (intraprendenza produttiva e commerciale, spirito affaristico-usuraio).

 

Inurbandosi e sottomettendosi politicamente all'autorità cittadina, il signore è costretto anche a cedere parte delle sue terre in cambio, talvolta, di percentuali sulla riscossione di determinate imposte fiscali, portando così all'inglobamento dei signori feudali nell'amministrazione cittadina. Le terre cedute vengono accaparrate dai ceti urbani dominanti [1967, L. A. Kotel'nikova] che, al rischio dei commerci e alle incertezze della produzione, vogliono porre una base più solida e di maggior prestigio [1914, Gino, Luzzatto] attraverso la proprietà terriera. Al tempo stesso i signori feudali inurbati impiegano le rendite loro rimaste o i nuovi proventi iniziando a prendere parte ai commerci e alle attività produttive di modo che si forma un amalgama tra nuovi e vecchi signori, tra attività artigianali-commerciali e attività agricole, tra profitto che si indirizza anche verso impieghi di rendita e rendita che viene in parte collocata in attività di profitto.

Il dato caratterizzante la situazione italiana consiste proprio in questa modificazione nella natura economica e sociale dei ceti dominanti, in questo intreccio rendita-profitto che rappresenta anche i due poli attraverso cui si svolge l'interscambio città-campagna.

Il quadro economico generale si presenta grosso modo nei seguenti termini. La fuga dei ceti dipendenti dalle campagne verso le città o le terrae novae con il ridursi del numero dei contadini che ne consegue, le lotte tra servi e signori con la formazione in vaste zone della Pianura Padana e della Toscana di Comuni rurali che rappresentano centri di forza e di emancipazione dei contadini, i progressi tecnologici ed organizzativi che si dispiegano nel mondo rurale, tutto ciò significa sviluppo delle forze produttive (animate e inanimate) a cui il ceto dominante deve rispondere con la formulazione e attuazione di nuovi rapporti produttivi nelle campagne.

Questi nuovi rapporti produttivi sono costituiti dallo sviluppo della colonia parziaria (mezzadria) che è indice del distacco dalla terra dei proprietari terrieri (inurbamento volontario o coatto) e segno del dissolvimento della grande proprietà terriera di tipo feudale. Questa, oltre ad essere spartita fra i nuovi ceti urbani dominanti, viene smembrata anche in quanto divenuta poco redditizia a seguito della carenza di una numerosa schiera di lavoratori facilmente assoggettabile e manipolabile.

I nuovi rapporti di produzione (la colonia parziaria) che vedono attuare una ripartizione paritaria del prodotto tra proprietario e affittuario, se da una parte rappresentano il passaggio verso forme più attenuate di sfruttamento del ceto contadino a testimonianza di una sua maggiore forza contrattuale, dall'altra costituiscono il tentativo, da parte dei signori vecchi e nuovi, di coinvolgere e cointeressare agli incrementi produttivi un ceto contadino su cui grava pur sempre il peso integrale della produzione agricola e che viene in molti altri modi ingannato e sfruttato.

Attraverso il rapporto mezzadrile o l'imposizione di canoni in natura, i signori prelevano dai contadini quote consistenti di produzioni agricole che vengono da essi collocate, con notevoli ricavi, sul mercato urbano. Lo sfruttamento delle campagne viene esercitato, in questo caso, attraverso l'esproprio del prodotto agricolo e l'intermediazione parassitaria tra città e campagna.

Questa situazione introduce aspetti contraddittori nella politica economica e socio-giuridica dei Comuni italiani. Infatti, se gli interessi generali della città portano a calmierare i prezzi dei beni agricoli e a favorire l'inurbamento dei contadini quando vi è necessità di nuove forze di lavoro e di nuove milizie soldatesche [1967, L. A. Kotel'nikova], d'altro lato l'aristocrazia terriera inurbata e il ceto urbano divenuto proprietario terriero premono per vendere i loro prodotti agricoli a prezzi più elevati di quelli fissati dalla città o esportarli in altre aree maggiormente redditizie, e contrastano l'inurbamento dei servi perché ciò significa spesso sottrazione di lavoratori dalle loro proprietà.

La situazione poi si complica perché all'interno di questi ceti dominanti e all'interno delle stesse persone convivono interessi contrastanti (rendita e profitto) per cui, ad esempio, se l'inurbamento dei servi significa per il signore-proprietario terriero (percettore di rendita) calo di lavoratori e quindi conseguente calo di produzione, d'altro lato per lo stesso signore-proprietario di bottega o mercante (percettore di profitto) rappresenta accrescimento del mercato (acquirenti di prodotti, potenziali lavoratori urbani) e quindi degli affari.

Ne deriva che, nelle dispute servi-signori come in altre controversie, i ceti urbani dominanti prendono posizioni non sempre univoche: spesso deliberano a favore dei signori feudali che, direttamente o indirettamente, arrivano a influire sulla politica cittadina; talvolta invece si pongono dalla parte dei servi soprattutto quando si tratta di ridurre le velleità di un feudatario troppo potente. [1967, L. A. Kotel'nikova]

L'unico punto di chiarezza e di linearità è nella politica verso l'esterno: alleanze, lotte, leggi e norme giudiziarie, disposizioni economiche, tutto è in funzione del benessere e della potenza all'interno e della rovina e distruzione all'esterno, negli altri Comuni autonomi.

Ma questa politica, stimolando gli aspetti di particolarismo comunale, è perdente nel lungo periodo rispetto alla tendenza verso la formazione di Stati nazionali.

Inoltre, il groviglio di interessi sopra esaminati, incarnati dalle stesse persone a seguito della compenetrazione-identificazione tra signori urbani e signori terrieri, porta nel lungo periodo ad una situazione di stasi, di blocco dello sviluppo soprattutto mano a mano che gli aspetti di rendita parassitaria (agricola e di intermediazione) tendono a prevalere su quelli di profitto. Per cui, alla spinta antifeudale della politica comunale del primo periodo, si sostituisce sempre più la cooptazione del vecchio ceto signorile nell'organismo comunale e la ripresa accentuata di imposizioni e di pratiche di sfruttamento di tipo feudale senza nessun intervento innovatore delle città nei confronti del mondo agricolo per quanto riguarda gestione e tecnologie di produzione. [1974, Paolo Cammarosano]

In questa ripresa di una pressione eccessiva delle città sulle campagne, che fa saltare l'equilibrio di sfruttamento relativo stabilitosi durante il basso medioevo tra il libero Comune e il contado dipendente, è da vedersi una delle cause principali della recessione economica del secolo XIV.

 

La Germania


In Germania, l'autorità imperiale che ha trovato all'esterno (Papato, Comuni italiani) notevoli limitazioni al suo tentativo di rinascita dell'Impero ("renovatio imperii") e che dalle lotte è uscita indebolita, viene ridimensionata anche dal potere dei grandi feudatari germanici che approfittano di quelle lotte per conquistarsi privilegi propri dell'Imperatore concernenti l'amministrazione della giustizia, le esazioni fiscali, l'emissione di moneta, ecc.

Si può dunque affermare che la pretesa affermazione della sovranità imperiale, distogliendo le varie dinastie tedesche dai problemi interni e logorandole in lunghe lotte combattute soprattutto nella penisola italica, mina alla base anche la pretesa di esercitare una sostanziale sovranità sui popoli germanici.

Anzi, la possibilità di effettuare il tentativo di "renovatio imperii" si regge sulle concessioni che gli Imperatori fanno ai grandi feudatari pur di continuare, senza eccessive preoccupazioni interne, la lotta all'esterno. Col risultato che, svanito il sogno imperiale, i sovrani tedeschi si trovano a dover far fronte in Germania ad un pullulare di poteri territoriali (ducati, principati, ecc.) in cui le città, come forze emergenti, vanno ad occupare una posizione sempre più importante.

Non è la posizione di totale autonomia dei Comuni italiani ma è pur sempre una situazione di forza (accresciuta dal costituirsi di leghe fra città) nell'ambito di un equilibrio molto spesso instabile fra autorità imperiale e potere dei grandi feudatari germanici.

Inoltre, ritornato ad occuparsi dei problemi interni, l'Imperatore si appoggia alle città di cui favorisce il decollo attraverso concessioni di natura economica e politica che le rendono autonome dalla soggezione ai signori laici ed ecclesiastici; e per mezzo della burocrazia imperiale (i "ministeriales") formata da uomini appartenenti ai nuovi ceti, il sovrano cerca di dare solidità organizzativa al regno e di tenere a freno le ribellioni e le pretese dei grandi feudatari.

Nonostante ciò in Germania si consolida una struttura di potere di tipo federalistico basata sui signori territoriali, in primo luogo sui grandi elettori della corona imperiale, mentre in altre regioni europee (Francia, Inghilterra) si sviluppa la tendenza verso la formazione di una autorità monarchica centralizzata.

 

La Francia


La Francia si avvia sotto i Capetingi, a porre le basi per la formazione di una monarchia centralizzata. Ciò avviene soprattutto tra il XII e il XIII secolo allorché una serie di imprese militari allargano al nord (Normandia, Angiò, Maine) e al sud della Francia i territori su cui si estende l'autorità regia (Filippo ll).

Anche lo scontro con il Papato (Filippo IV e Bonifacio VIIl) che vuole affermare (agli inizi del '300) le sue pretese egemoniche, vede il re difendere con esito positivo l'indipendenza della sua autorità temporale e ulteriormente rafforzarla. Questa autorità si esercita attraverso una burocrazia (i "balivi") che, appropriatasi di strumenti conoscitivi (lettura, scrittura, calcolo) non più appannaggio esclusivo del clero, cura l'organizzazione amministrativa e giudiziaria del regno. Compongono questa burocrazia rappresentanti dei ceti urbani in ascesa su cui si appoggia il re per limitare il potere dei signori feudali. È chiaro infatti che la burocrazia e l'esercito di cui dispongono i re Capetingi eliminano, almeno in alcune zone della Francia, la necessità di ricompensare l'aiuto militare e amministrativo dei vassalli con concessioni di terre e di privilegi. Cosicché il "beneficio" regio ai signori feudali si trasforma in retribuzioni monetarie al complesso burocratico-militare dipendente direttamente dal sovrano [1940, Marc Bloch]. Per il mantenimento di questa struttura il re riscuote contribuzioni in denaro dai suo i vassalli i quali convertono parte dei servizi loro dovuti dal ceto rurale dipendente in riscossioni monetarie. Tale conversione è originata anche dalle pressioni dei contadini che vogliono staccarsi da una condizione di legame feudale alle terre del signore.

Queste dinamiche sociali e politiche e cioè l'emergere progressivo dell'autorità regia poggiante su una efficiente struttura burocratica e militare, l'ascesa dei nuovi ceti urbani sulla scia del generale sviluppo economico del secolo Xll, la maggiore forza contrattuale dei contadini, tutto ciò converge nel ridurre il potere dei signori feudali e nel preparare la strada ad ulteriori spinte verso il sorgere di una autorità centrale.

 

L'Inghilterra


I Normanni che, guidati da Guglielmo I, invadono l'Inghilterra all'inizio del secolo XI, trovano nel regno una organizzazione amministrativa rappresentata da funzionari elettivi ("sheriffs") che nelle contee ("shires") riscuotono imposte e rendite per conto della Corona.

La redazione del registro catastale noto come "Domesday Book" (1086) è indice appunto dell'esistenza di una efficiente rete di funzionari che, anche attraverso tale registro, migliorano e sistematizzano il prelievo fiscale.

Durante il regno di Enrico I e di Enrico II (secolo XII) si rafforza il controllo sulle contee attraverso la istituzione di un ufficio di corte (la "curia regis") che sovrintende e coordina l'operato degli sheriffs in materia fiscale (attraverso il funzionario dello Scacchiere) e giuridica (attraverso giudici itineranti che organizzano le corti di giustizia).

Queste iniziative contribuiscono a rendere omogenee le prescrizioni fiscali e giuridiche (diritto comune) sulla parte insulare del regno inglese. Le lotte all'interno (problemi di successione regia) e all'esterno (soprattutto quelle combattute da Giovanni in terra francese) attenuano l'autorità regia e introducono una situazione di poteri controbilanciati rappresentati da una parte dal re e dall'altra dal clero, dai baroni e, in parte, dalle nascenti città.

Tale situazione è alla base della formulazione della Magna Charta Libertatum (1215) imposta a Giovanni senza Terra dai baroni allorché essi si ribellano alle pretese fiscali regie.

Questo insieme di poteri trova poi espressione nel Parlamento (l265) in cui hanno posto anche i rappresentanti delle città e del ceto agrario (liberi proprietari). [1950, Roger Grand e Raymond Delatouche]

L'originalità delle istituzioni politiche e amministrative del regno inglese trova riscontro anche nel settore agricolo.

Impossibilitati dalla pervadente presenza del fiscalismo regio [1962, Georges Duby] ad ottenere ingenti risorse attraverso proprie imposizioni fiscali, i signori terrieri devono cercare altre forme di appropriazione delle ricchezze.

Per cui, abbandonata la pratica delle armi a favore di eserciti assoldati, numerosi grandi e medi proprietari terrieri curano i propri interessi attraverso la gestione diretta dei loro domini.

Ciò significa organizzazione della produzione, collocazione dei beni agricoli sui mercato, reimpiego delle risorse (investimenti) nel settore. I proprietari infatti sono interessati e si interessano attivamente all'incremento del sovrappiù attraverso il miglioramento delle tecniche di gestione e delle tecnologie di produzione.

L'aumento delle risorse e dei bisogni (sviluppo economico nei secoli XII e XIII) provoca una ascesa della domanda di beni agricoli e, nel caso inglese, soprattutto di lana greggia che viene esportata in molte zone d'Europa.

Mentre i prezzi agricoli lievitano seguendo la domanda, l'abbondanza nelle campagne di lavoratori [1962, Georges Duby] che i proprietari trovano conveniente pagare in moneta fa sì che i salari rimangano stabili verso il basso.

Il dislivello tra prezzi e salari (rapporto costi-ricavi) è quindi a tutto vantaggio dei proprietari terrieri-produttori agricoli inglesi.

Questi ricavi non sono definibili come rendite ma vanno piuttosto classificati sotto la voce di profitti derivanti dalla produzione e commercializzazione di beni agricoli. Volendo operare un confronto, si può rilevare che, mentre per le regioni dell'Italia settentrionale e centrale è lecito parlare di un profitto (artigianale e commerciale) che si converte in rendita (acquisto di terre), per l'Inghilterra è più pertinente parlare di rendita che si trasforma sempre più in profitto, cioè guadagno derivante da attività imprenditoriali nel campo agricolo. L'unica vera e propria rendita, nella situazione inglese, è quella percepita dalla Corona attraverso la tassazione sulla proprietà fondiaria.

Le città inglesi, cresciute in dimensioni, assumono anche un peso politico ed economico come è il caso dei centri portuali che fanno da tramite nel commercio tra l'Inghilterra e il Continente.

I ceti urbani dominanti traggono poi vantaggi dallo scontro tra il re e i baroni. Avendo di mira i propri interessi, le città, come d'altronde tutti gli altri poteri, mutano spesso alleanze: le vediamo dapprima con il re (Enrico l) per procurarsi basi iniziali di autonomia e di privilegio (esenzioni daziarie, protezione del commercio, tribunali propri, ecc.); in seguito con i baroni per limitare il dispotismo regio di Giovanni senza Terra e per acquisire ulteriori privilegi in materia di tassazione e di autonoma rappresentanza politica all'interno (il "mayor") e all'esterno (i delegati al Parlamento) [1920-1921, Max Weber]; infine, nuovamente dalla parte del re (Edoardo l) per controbilanciare il potere dei baroni. [1950, Roger Grand e Raymond Delatouche]

Il caso inglese esprime infatti una situazione di equilibrio fra i poteri che non porta all'immobilismo ma rappresenta un incentivo alla emulazione economica e all'affinamento degli strumenti politici e giuridici di controllo sul reciproco dispotismo. A causa di questo tipo di equilibrio, in Inghilterra il contrasto città-campagna non presenta l'acutezza riscontrabile nella penisola italica.

È piuttosto all'interno delle due zone territoriali (città, campagna) che si attua lo sfruttamento mentre tra un settore e l'altro si instaura un interscambio e un collegamento che ha, in generale, benefici influssi sulla reciproca espansione (ad es. produzione di lana nelle campagne e commercio laniero gestito dalle città portuali).

Per cui, anche se Londra non ha la grandezza e lo splendore che derivano a Firenze dallo sfruttamento del suo contado, tuttavia, in una prospettiva di più lungo periodo, essa è destinata a raccogliere i frutti di uno sviluppo più equamente ripartito fra i diversi settori produttivi.

 

Campagne e città nella società medioevale


Al centro del quadro generale raffigurante la divisione tra campagna e città, arricchito delle sue varianti regionali, va sempre posta la connessione-contrasto tra le forze produttive e i rapporti di produzione il che, sotto altre parole, indica la contrapposizione tra il ceto dipendente che è, nel medioevo, la componente principale delle forze produttive e il ceto dominante che fissa i rapporti di produzione.

A tal fine occorre riprendere il discorso sulla struttura gerarchica della società medioevale. Nell'alto medioevo tale struttura si compone, secondo la ripartizione del vescovo Adalberone di Laon (secolo X) di tre ordini:

a) quelli che combattono, vale a dire coloro che con la forza delle armi affermano il loro dominio (re, vassalli, cavalieri);

b) quelli che pregano, cioè gli ecclesiastici che esercitano una supremazia di tipo spirituale sostenuta dallo sviluppo delle loro capacità intellettuali;

c) quelli che lavorano, cioè i servi che, sottomessi ai primi due ordini, procurano ad essi tutto il necessario per vivere.

 

Questa divisione del lavoro che costringe la massa alla esplicazione di attività di produzione manuale mentre l'élite dominante consuma, si diverte, controlla, punisce, ammaestra, inizia a complicarsi verso il 1000 nel periodo della ripresa economica.

L'allargamento del sovrappiù agricolo rende possibile il soddisfacimento diversificato dei bisogni di un numero molto più vasto di persone, il che rende possibile e necessaria una maggiore divisione del lavoro. Accanto ai tre ordini sopra elencati si pone un ceto di "uomini nuovi" che organizzano e partecipano alla produzione e ai commerci.

La concentrazione urbana è il luogo dove tali "uomini nuovi" costruiscono le loro fortune.

La forza delle armi perde terreno, come strumento di dominio, rispetto alla forza delle ricchezze. In alcuni casi (ad es. nei Comuni dell'Italia settentrionale e centrale) ricchezze, forza militare e potere politico sono concentrati nelle mani di poche famiglie; in altri casi (ad es. in Inghilterra) si attua una separazione che è presupposto di un maggior equilibrio fra le diverse fazioni del ceto dominante e di un maggior rispetto dei diversi interessi nei vari settori produttivi.

La rinascita degli agglomerati cittadini come centri di produzione artigianale e di commerci, porta alla divisione sociale del lavoro tra settori produttivi (agricoltura, artigianato) che, sul territorio, si traduce in separazione fra zone urbane e zone rurali.

Parallelamente la divisione tra attività manuali e attività intellettuali va sempre più a precisarsi e si cristallizza all'interno della società medioevale, soprattutto con la fondazione di scuole e di università, la trasmissione di strumenti intellettuali di dominio.

Su questa divisione (manuale/intellettuale) si intreccia o si sovrappone (secondo le diverse realtà regionali) la divisione città/campagna che è, in sintesi, contrasto fra ceti urbani dominanti e ceti rurali dipendenti per la spartizione del sovrappiù, intendendo designare con il termine sovrappiù non solo una realtà economica (produzione eccedente la pura e semplice sussistenza) ma tutti gli aspetti politici, sociali, culturali a ciò connessi.

Infatti, l'appropriazione di sovrappiù da parte del ceto urbano dominante è appropriazione-privazione di potere, cultura, salute, tempo libero, nei confronti del ceto rurale dipendente.

 

 

Questo contrasto tra settori non elimina, come già detto più volte, il contrasto all'interno dei settori. Esso coinvolge, ad esempio

- maestri artigiani e lavoranti-garzoni

- mercanti-imprenditori e lavoratori a domicilio

- grandi proprietari terrieri e servi o fittavoli.

I rapporti fra questi soggetti contrapposti si modellano sulla base della rispettiva forza che determina la ripartizione del sovrappiù tra i diversi settori e all'interno di ciascun settore. Per fare un esempio, il pagamento dei lavoratori o la corresponsione dei fitti agricoli avviene in natura o in denaro.

Se il prezzo dei beni agricoli lievita mentre la moneta si deprezza, sarà conveniente per il ceto dominante pagare i lavoratori in denaro e riscuotere canoni di fitto rustico in natura. L'obiettivo opposto si proporrà il ceto dipendente. Il risultato dipenderà dalla forza dei ceti in lotta, anche in base alle alleanze da essi contratte.

Il conflitto di interessi si riflette e si complica poi sul territorio, all'interno del settore urbano, nella contrapposizione fra:

- città dominanti e città dipendenti, espressione di antagonismi nell'ambito della gerarchia urbana (livello macro-territoriale);

- centro cittadino dove si concentrano gli edifici del potere (municipio, cattedrale, palazzi dei signori) e periferia dove si addensano le abitazioni dei lavoratori e del popolo minuto (livello micro-territoriale).

A ciò si aggiungono le lotte fra le città dominanti che fanno da preludio alle guerre fra Stati nazionali in formazione.

Tutti questi contrasti, riconducibili nella loro genesi storica alle scissioni centrali presenti nell'organizzazione sociale e territoriale vale a dire

- la divisione manuale/intellettuale

- la divisione campagna/città

marcano le contraddizioni del processo storico. Lo svolgimento delle contraddizioni, espressione e causa del dissidio fra dinamica delle forze produttive e statica dei rapporti di produzione, rappresenta il presupposto indispensabile per il superamento delle contraddizioni stesse e per la ricomposizione dell'individuo e delle comunità attraverso la formazione di una nuova umanità.

 


 

Riferimenti

[1914] Gino, Luzzatto, Storia del commercio, Barbera, Firenze, 1914 (Vol. I. Dall'Antichità al Rinascimento)


[1920-1921] Max Weber, La città, Bompiani, Milano, 1950


[1940] Marc Bloch, La società feudale, Einaudi, Torino, 1974


[1950] Roger Grand e Raymond Delatouche, Storia agraria del medioevo, il Saggiatore, Milano, 1968


[1962] Georges Duby, L'economia rurale nell'Europa medioevale, Laterza, Bari, 1972


[1965] Jacques Le Goff, Il basso medioevo, Feltrinelli, Milano, 1967


[1967] L. A. Kotel'nikova, Mondo contadino e città in Italia dall'XI al XIV secolo, il Mulino, Bologna, 1975


[1974] Paolo Cammarosano, Le campagne nell'età comunale (metà sec.XI-metà sec. XIV), Loescher, Torino, 1974

 

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