Lotte operaie e divisione del lavoro

LOTTE OPERAIE E DIVISIONE DEL LAVORO

 

La lotta operaia

Lotte operaie si sviluppano in Italia, anche come contagio della contestazione studentesca, a partire dalla fine degli anni '60.

Nella loro prima fase ('68-'69) esse si configurano come lotte contro l'organizzazione del lavoro (ritmi, orari, nocività, ecc.), lotte controllate e gestite dalla base e sfocianti in nuove strutture di democrazia operaia (i delegati).

Nella, seconda fase ('72-'73) esse si precisano come lotte che riaffermano le posizioni di forza raggiunte precedentemente e si pongono per la prima volta a livello di massa il problema della unione lavoro-qualificazione culturale (le 150 ore).

Vediamo schematicamente questi due momenti.

Nel giugno '69 il CUB (Comitato Unitario di Base) Pirelli afferma:

 

"tutte le nostre rivendicazioni devono mirare a togliere al padrone il potere di usarci come pezzi delle sue macchine, come oggetti che si sfruttano al massimo e poi si gettano via". [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Pirelli]

 

Contro il potere padronale si cerca di contrapporre non tanto o soltanto il potere sindacale, ma il potere degli operai uniti tra di loro e, ciò che vi è di nuovo, uniti con altri strati di lavoratori presenti in fabbrica (tecnici, impiegati),

 

"in direzione della crescita dentro la fabbrica della organizzazione unitaria di massa degli operai e dei tecnici". [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Farmitalia]

 

Per quanto riguarda il problema unità-organizzazione si individua (ad es. alla FIAT) nella squadra, in quanto gruppo operaio omogeneo,

 

"il livello associativo in cui l'operaio comincia a perdere la propria, natura di lavoratore parziale, la propria impotenza individuale e comincia, ad avere la forza minima sufficiente per opporsi all'organizzazione del lavoro e al potere del padrone". [1969, Ciclo capitalistico e lotte operaie - FIAT]

 

E, avendo come base il gruppo omogeneo, si vanno a delineare tutta una serie di momenti partecipativi che hanno nei delegati e nelle assemblee (di fabbrica, di reparto, ecc.) le loro articolazioni.

C'è in sostanza nelle lotte operaie del '68- '69

 

"una tensione confusa, il senso di una unità nuova che si sta creando, la volontà di contare ognuno in prima persona, e di non delegare più la propria volontà a 'rappresentanti' incontrollabili". [1969, Ciclo capitalistico e lotte operaie]

 

Perciò, come affermano i lavoratori di Porto Marghera,

 

"bisogna che fin d'ora tutti gli operai siano direttamente chiamati a deciderne [delle lotte] contenuti, forme e modi. Bisogna che la conduzione dello scontro sia nelle mani della classe dall'inizio alla fine. Gli strumenti per questo tipo di conduzione non ci sono ancora. Dobbiamo crearli". [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Porto Marghera]

 

E, a tal fine, la costruzione di tali strumenti parte dalla chiarificazione di alcuni punti.

Come afferma il CUB (Comitato Unitario di Base) della Pirelli:

 

"Anzitutto deve essere chiaro che solo raggiungendo, con la discussione, l'unità e la capacità autonoma di decidere, possiamo uscire dal caos. Non si può dire di essere uniti se uno comanda e gli altri ubbidiscono, se uno dirige e tutti gli altri si lasciano dirigere. L'unità reale di tutti i lavoratori si può raggiungere solo con la democrazia". [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Pirelli]

E "democrazia vuol dire: informazione, discussione e dibattito di tutti sui problemi comuni, e decidere la lotta, e scegliere tempi e metodi di lotta solo dopo questa discussione comune". [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Pirelli]

 

Le lotte operaie riguardano, in particolare:

- l'orario di lavoro

Alla Fiat, ad esempio, si richiede la riduzione dell'orario di lavoro da 49 a 40 ore settimanali.

E questo anche perché

 

"una forte riduzione di orario ... è il principale mezzo in mano agli operai per contenere l'attacco all'occupazione messo in atto dai padroni in questi ultimi anni". [1969, Ciclo capitalistico e lotte operaie - FIAT]

 

- la salute

Si precisa e si allarga il rifiuto di monetizzare la nocività e quindi la richiesta di un ambiente di lavoro e di una organizzazione del lavoro che siano funzionali alla massima igiene fisica e mentale del singolo e del gruppo.

 

"Il padrone pretende di risolvere questo problema concedendoci un'indennità: poche lire con cui pretende di pagarci l'anticipo della nostra morte. La nostra salute non va contrattata, né comprata con le indennità. Perciò rifiutiamoci di continuare il lavoro negli ambienti nocivi". [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Pirelli]

 

- l'organizzazione del lavoro

La messa in discussione dell'organizzazione del lavoro si riflette soprattutto come attacco al cottimo perché

 

"attraverso il cottimo il padrone realizza la parte più  alta dei suoi profitti, riducendo il lavoratore a seguire la macchina oltre i limiti della resistenza fisica". [1969, Ciclo capitalistico e lotte operaie - Pirelli]

 

E questo attacco al cottimo è indice della più  ampia esigenza di controllo dei tempi e delle fasi di lavorazione.

 

"Alle linee delle puntatrici [alla FIAT] gli operai si prendono l'esaurimento nervoso con le migliaia di punti che danno in un giorno e che risuonano dentro la testa come tanti colpi di martello. Un operaio non può impazzire facendo sempre questa operazione: bisogna scambiarsi le mansioni, fare diversi lavori e controllare tutto il ciclo di produzione. Tocca agli operai che ci lavorano dire come devono essere distribuite le mansioni e quanti uomini ci devono essere in una squadra per il numero di pezzi che si fanno in un giorno. Imporre la rotazione delle mansioni vuole anche dire impedire alla Fiat di tagliare continuamente i tempi, cosa che invece succede quando l'operaio è costretto a ripetere sempre come una macchina la stessa operazione". [1969, Ciclo capitalistico e lotte operaie - FIAT]

 

Dalla fabbrica, le lotte del movimento operaio si estendono alla società tutta. E lo slancio espresso dal CUB Pirelli

 

"dal reparto alla fabbrica, dalla fabbrica alle fabbriche, dalle fabbriche alla società" [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Pirelli]

 

trova negli anni '72-'73, soprattutto sulla tematica dello studio e della qualificazione culturale, il suo sbocco più  rilevante.

La centralità del rapporto studio/lavoro, nell'ambito della problematica operaia, è rilevata indirettamente e in negativo dagli operai della Pirelli quando affermano :

 

"noi il padrone ci ha voluti operai con una limitata istruzione appunto per poterci imbrogliare". [1969, Classe operaia e capitale di fronte ai contratti - Pirelli]

 

Ecco allora la necessità di passare da una condizione di subordinazione alla riappropriazione di strumenti culturali di padroneggiamento sul lavoro e sulla realtà sociale complessiva. Perciò l'apprendimento, la ricerca, l'approfondimento culturale in genere, nella pluralità dei modi in cui possono tradursi, rappresentano momenti essenziali nella rivoluzione-ricomposizione dell'essere umano diviso e della società frantumata.

Come afferma la F.L.M. (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) di Roma:

 

"la conquista del diritto per tutti i lavoratori occupati alla formazione culturale e professionale è un punto centrale dell'attacco complessivo all'organizzazione del lavoro. L'interesse che rivolgiamo alla scuola parte dalla volontà di rovesciare il rapporto tra studio e lavoro che oggi è imposto dall'organizzazione capitalistica della fabbrica". [1972, Inchiesta, n. 7]

 

Perciò le rivendicazioni degli anni '70 si caratterizzano come

 

"spinta all'egualitarismo, attacco alla separazione studio e lavoro, conquista operaia della cultura". [1972, Inchiesta, n.7]

 

L'egualitarismo nelle lotte del '72-'73 è rappresentato soprattutto dall'inquadramento unico operai-impiegati, anch'esso, per molti aspetti, riconducibile al tema del superamento della divisione tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali. Il problema consiste nell'allargare l'unità raggiunta in fabbrica ad un insieme più ampio di lavoratori. Perciò, secondo la F.L.M. di Bologna,

 

"occorre ... una faticosa riappropriazione del sapere sociale da parte della classe operaia ed a questo processo di messa in comune di esperienze, di studio comune e di lotte comuni devono partecipare non solo gli studenti, gli insegnanti, i lavoratori ed i sindacalisti e le forze politiche, ma anche gli operatori sociali ed i ricercatori scientifici che con la classe lavoratrice si identificano di fronte ai comuni avversari di classe". [1973, Inchiesta, n. 9]

 

E un collettivo che unifica in una comune prospettiva tutti questi lavoratori e li lega tra di loro in un impegno comune di lotta

 

"è un collettivo che già indica una rottura della tradizionale divisione dei ruoli sociali e della tradizionale divisione del lavoro". [1973, Inchiesta, n. 9]

 

È quindi mezzo e fine al tempo stesso.

 

Lavoro e divisione del lavoro

L'unificazione studio-lavoro-tempo libero, è problema non scindibile da una trasformazione radicale di questi vari momenti. Per quanto riguarda l'attività lavorativa, occorre concepirla in maniera del tutto diversa dall'attuale.

Finora

 

"si è dovuto, una volta isolato il lavoro da chi lo fornisce, valorizzare l'unica cosa che restava: il lavoro bruto, la forza, la violenza. È questo che ha permesso di separare gli ingegneri dagli operai, i creatori dagli esecutori, i letterati dagli scienziati, gli utili dai parassiti, di creare una gerarchia di valori, di far si che ognuno sia il gendarme dell'altro per meglio dirigere i lavoratori nella più  completa 'libertà'".

"Fino ad oggi ci si è accontentati di reclamare una ripartizione più  giusta ed equa dei frutti del lavoro. Si tratta adesso di ripensare il lavoro come una attività necessaria e libera. Bisogna ritrovare il senso e la funzione originali del lavoro al di là delle alienazioni che lo costituiscono attualmente". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Infatti

 

"il lavoro liberato dalle sue alienazioni è naturale, socialmente libero, umano insomma, perché solo l'uomo lavora. Non è più  fatica. È l'attività dell'uomo come espressione della sua umanità individuale e sociale. Per questo, "dire che l'uomo deve lavorare per 'vivere' è accettare che il lavoro sia scisso dalla vita, è accettare anche tutto il seguito di alienazioni che implica un dovere, una necessità che non sarebbe umana". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Ecco allora prodursi

 

"la divisione lavoro/tempo libero, punta, massima del 'progresso' della nostra civiltà " e "indice della profondità della nostra alienazione. Il lavoro è così pura fatica, ed è vissuto, concepito ed effettuato come una necessità. Il tempo libero diventa quindi l'immagine artificiale della libertà, diventando quest'ultima immediatamente una nuova necessità, destinata a compensare il 'lavoro-necessità'". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

In completa opposizione a questa visione, il Comitato d'azione di Censier durante il Maggio francese riafferma ancora una volta che

 

"lavorare è realizzare la propria vita attraverso una attività necessaria e libera". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Nell'ambito di questa concezione

 

"La divisione del lavoro è lo scambio e la solidarietà umana dei servizi attraverso la padronanza delle tecniche". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Rimane quindi soltanto la differenziazione dei servizi prestati. Solo questa ha una sua giustificazione sociale e personale.

Perciò,

 

"lavoratori di ogni tipo non lasciamoci prendere in giro. Non confondiamo divisione tecnica del lavoro e divisione gerarchica delle autorità e dei poteri. La prima è necessaria, la seconda è superflua e deve essere sostituita da uno scambio egualitario della nostra forza-lavoro e dei nostri servizi nell'ambito di una società liberata". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"La confusione della divisione tecnica e sociale del lavoro è il contrassegno di una società di classe e dei rapporti di violenza che la reggono. Violenza del benessere, violenza dell'autorità, violenza dei privilegi nel consumo di beni e di cultura". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"La divisione funzionale del lavoro non è alienante in sé stessa. Lo diventa quando viene istituzionalizzata e accompagnata da una divisione sociale gerarchizzata e valorizzata, quando specialità, competenza, responsabilità ed autorità sono confuse in un'unica scala". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Ciò che gli studenti del Maggio francese sostengono è che a specializzazioni differenti non coincidano differenziazioni gerarchiche.

 

"Non potranno essere abolite le differenze intrinseche; devono esserlo radicalmente le differenze di valore e di vantaggi che ne derivano". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"Ogni individuo sceglierà la sua specializzazione conformemente alle sue aspirazioni e alle sue competenze, dovendole sviluppare attraverso una educazione permanente concepita come una trasmissione, uno scambio e una creazione dei saperi di ogni natura". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Impostando così lo sviluppo dell'individuo è chiaro che le attività lavorative meno 'umanizzanti', se non potranno essere abolite o sostituite da automatismi, dovranno essere ripartite fra tutta la popolazione e cioè,

 

"bisogna diventare tutti spazzini a mezzo tempo perché non ci siano più spazzini a pieno tempo". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Ciò implica la reintegrazione nel lavoratore di tutte le sue potenzialità attraverso la generalizzazione di attività a contenuto manuale e intellettuale.

 

"Lavoratori, dobbiamo diventare noi stessi. Se ci dicono che e un'utopia, rendiamoci conto che la rivoluzione è necessaria". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

La rivoluzione culturale

Vediamo di quale tipo di rivoluzione si parla e quali obiettivi si propone. Come abbiamo già analizzato, la nostra società si basa sulla polarizzazione della competenza-potere in uno strato sociale. In altre parole,

 

"il principio dell'incompetenza presunta dei subordinati regge la nostra società". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"Ma mandare al potere le competenze senza permettere a tutti di accedervi vuol dire realizzare una dittatura della cultura. Ci vorrà quindi quel che si chiama la rivoluzione culturale". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Per questo motivo,

 

"la fondazione di una educazione permanente, la trasformazione dei modi e dei rapporti di produzione e di consumo, l'abolizione del lavoro alienante e la sua sostituzione con un'attività libera e necessaria, sono i pilastri della rivoluzione in corso". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Rivoluzione "sociale e culturale" perché, come abbiamo già visto, intende cambiare il singolo e la società, e può fare ciò

 

"solo se rimette in causa radicalmente la nozione di cultura". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Nella società attuale

 

"la cultura è il simbolo ideologico di tutti i privilegi economici, sociali e politici". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Inoltre, la cultura attuale, pretendendo di

 

"rappresentare il mondo così com'è o come vorrebbe essere", da una parte "manifesta la sua reale impotenza creatrice", dall'altra, "trasfigurandolo, diventa il segno di un mondo alienato". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Risultato che ne consegue è che la cultura viene ad essere

 

"una storia morta"; "l'espressione irrealizzata di un mondo aculturale". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"La cultura non potrà essere 'l'essenziale' fintanto che resterà il distintivo 'geniale' di tutte le divisioni esistenti, attraverso il gioco della rappresentazione, dei simboli e di un linguaggio in cui la tecnica confina troppo spesso con l'esoterismo". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Anche qui siamo di fronte ad una divisione in quanto la cultura diventa

 

"creazione pura di quelli che ne hanno il tempo e la possibilità, contrapposta al consumo passivo di quelli che ne sono privati". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Inoltre la divisione della cultura tra creatori e fruitori, trova il suo complemento nella divisione stratificata dei lavori:

"La specializzazione dei generi e dei modi di espressione culturali è il corrispondente della divisione tecnica del lavoro valorizzata gerarchicamente". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"Attraverso queste divisioni multiple valorizzate e istituzionalizzate, la cultura ha perso la sua essenziale funzione unitaria". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Essa

 

"serve da palliativo all'assenza di comunicazione reale: di emozioni, in un mondo in cui l'emozione è debolezza; di umanità in un mondo in cui l'umano è inessenziale". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

In sostanza

 

"la cultura ha fino ad oggi creato soltanto sé stessa". Attualmente essa "non è niente". "Bisogna ricrearla". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

E dopo aver definito ciò che la cultura è nella società attuale, si tenta una proposta di ridefinizione:

 

"La cultura non può essere che un'attività necessaria e libera inclusa in tutti i tipi di produzione e di consumo come costituente essenziale. Non è niente se è 'in più'. È tutto se non c'è niente senza di essa". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"La cultura deve essere contemporaneamente la 'natura' del lavoro, il motore della storia umana, il sesso degli individui". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

La cultura perciò viene ad assumere l'importanza di un modo di essere, il sostrato che determina la pratica esistenziale dei singoli e della società.

Perciò

 

"la cultura non è trasmissione di un sapere. Non è un contenuto destinato a un contenente. Non è da acquisire. È da creare". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Lo sforzo di elaborazione di una cultura vera si unisce e fa tutt'uno con lo sforzo di costruzione di una società nuova. Durante il Maggio francese non trova spazio un certo dogmatismo, marxista più che marxiano, di scomposizione parcellizzante della società in fenomeni strutturali e sovrastrutturali, che invece di essere un semplice mezzo di analisi (per molti versi non più praticabile) finisce per tradursi in un'analisi sbagliata dei mezzi adatti ad avviare una dinamica rivoluzionaria.

Gli studenti del Maggio francese prefigurano, nel concetto di cultura, la sintesi dei processi teorici e pratici.

 

"La cultura deve costituire e diventare l'oggetto dell'educazione permanente, concepita come lo scambio, la trasmissione e la creazione di tutti i saperi e di tutte le forme di espressione dell'attività necessaria e libera dell'uomo".

"Sopprimere la cultura e ricrearla è l'impresa più gigantesca mai intrapresa dal genere umano, perché implica ricreare tutta una società: un mondo, un uomo nuovo". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

La sintesi di teoria e prassi che gli studenti del Maggio attribuiscono alla cultura è sintesi di educazione e rivoluzione, visti entrambi come processi permanenti a livello personale (nuovo essere umano) e collettivo (nuova società), coinvolgenti il singolo e la comunità in una trasformazione integrale.

 

"Studenti, lavoratori, uomini del mondo intero, la rivoluzione culturale non è un'appendice della rivoluzione in corso. La cultura non è questo o quello: è tutto. Essa è ormai l'insieme di tutte le attività necessarie e libere, e fa essa stessa parte di questo insieme. Creiamo finalmente una cultura che sia anche la nostra natura e la nostra storia, finalmente vissute, finalmente scelte". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Lavoro/studio

Lo sbocco di questo discorso è nel porre tutti gli individui in condizione di "creare la loro cultura"; e poiché sussiste identità tra cultura ed esistenza, l'affermazione postula la riappropriazione da parte di ciascuno della possibilità di creare la propria esistenza attraverso un libero ed integrale sviluppo. Ciò richiede l'abolizione di ogni privilegio, e poiché il privilegio del sapere-potere è alla base della divisione in gruppi contrapposti

 

"ogni detentore di un sapere-saper-fare-cultura è tenuto a restituire, in quanto individuo, quanto ha ricevuto a titolo di privilegio dalla società, perché questo sapere non sia più, a partire da oggi, un nuovo privilegio di classe dirigente che, malgrado le buone volontà ed il messianismo individuale, può soltanto alienare e sfruttare l'insieme dei lavoratori". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"Ogni lavoratore, ... qualunque sia la sua educazione attuale e la sua età, viene chiamato a diventare allievo e al più presto insegnante, al fine di scegliere il proprio destino". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Si vuole una rottura di "tutte quelle barriere di un mondo di morti" che sono i ruoli professionali rigidi.

 

"Ogni individuo produttore e consumatore di 'beni' e di 'cultura' è definito unicamente dallo status di lavoratore-insegnante-allievo, qualunque sia la sua posizione nel processo di produzione e qualunque sia il tipo di produzione a cui partecipa." [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

"Nessun lavoratore-insegnante-allievo potrà essere privilegiato in una qualsiasi maniera, né economicamente, né politicamente, né culturalmente". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

La rottura dei ruoli e degli status, comporta anche il superamento della contrapposizione dei luoghi in cui si svolge l'esistenza umana. Già fin d'ora, "bisogna aprire le fabbriche occupate", far sì che la cultura non sia più "custodita a vista nei ghetti universitari", per arrivare a distruggere entrambi questi contesti nella misura in cui rappresentano luoghi fra di loro segregati e contrapposti.

Lottando così per l'effettiva unificazione territoriale di una serie di segmenti che la società attuale ha separato: città/campagna; fabbrica/abitazione; luoghi di studio/luoghi di lavoro; ecc..

In particolare, per quanto riguarda il sapere, come dicono gli studenti del Maggio

 

"il luogo è solo un accidente: l'essenziale resta lo spazio-tempo in cui si dispiega la conoscenza". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Già nella situazione presente, il venir meno di alcuni steccati introduce notevoli potenzialità.

 

"Ci sono tre mondi separati, la scuola, il lavoro e il tempo libero".

"Penso che dovrebbe essere tutto integrato: cioè dovrebbe esistere un ambiente solo, del lavoro, della scuola e del tempo libero". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

 

Il risultato sarebbe la nascita di una

 

"nuova unità locale educativa (fabbrica, impresa, scuola ex-elementare, media superiore)" che, come tutte le altre nuove unità "sarà gestita dall'insieme dei lavoratori-insegnanti-allievi". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Essa

 

"è definita come un'unita di produzione-consumo di 'beni' e di 'saperi' di ogni natura". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Riprendendo il discorso sul rapporto studio/lavoro, gli studenti del Maggio affermano:

 

"La settimana di 30 ore è d'ora in poi il massimo tollerato. Ogni 'ora supplementare' verrà utilizzata per l'educazione, il perfezionamento, le attività culturali e critiche. L' 'ammanco' per l'economia verrà largamente colmato da una parte, a breve termine, se il lavoro di produzione viene effettuato da tutti, dall'altra, a lungo termine, dalla favolosa somma di competenze che verranno così messe all'opera". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

Secondo gli studenti-lavoratori di Torino

 

"l'unica situazione sostenibile sarebbe quella di fare 4 ore di lavoro e 4 di scuola". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

 

E non è difficile

 

"dimostrare che, sia in campo economico che sociale, si può istituire una scuola che permetta a tutti, indistintamente, di qualsiasi ceto, di studiare 4 ore e 4 ore lavorare. Sarebbe un apporto utile alla società; di conseguenza non ci sarà più il figlio di papà che studia fino a 28 anni, ma ci sarà il figlio di papà che comincia a lavorare a 14 o a 16 anni e nello stesso tempo studia, mentre ci sarà il figlio di un operaio, di un manovale, che ha la stessa possibilità di quel signorotto. Sarebbe un livellamento sociale: dai 16 anni dare la possibilità a tutti di studiare e lavorare". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

"Lo studente non deve essere solo studente ma anche lavoratore. Nello stesso tempo però il lavoratore deve essere studente. Quindi uno non deve farsi le 8 ore di lavoro e poi le 4 ore di scuola, perché è una cosa pazzesca; neanche deve farsi le 8 ore di scuola. Ma una via di mezzo: vale a dire siano studiati dei programmi che permettano agli studenti di vivere sia nell'ambiente scolastico che nell'ambiente di lavoro". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

 

Gli studenti-lavoratori di Torino riaffermano varie volte quello che è il nucleo centrale della loro proposta:

 

"Le ore di scuola dovrebbero essere complementari alle ore di lavoro, 4 e 4, non 20 ore tra trasporti, lavoro e scuola". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

 

Le richieste che emergono, lungi dall'essere irrealizzabili e disfunzioni, rispondono a più  razionali criteri di organizzazione della società e di formazione dei lavoratori. Infatti

 

"si potrebbe giungere ad una preparazione polivalente del futuro tecnico o operaio se lo studente facesse scuola e lavoro; se uno vive nella scuola e poi va a farsi le sue ore di lavoro, per forza deve venire a conoscenza del progresso che avanza. Così la scuola si aggiornerebbe rispetto al lavoro". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

 

Gli stessi studenti-lavoratori rilevano l'utilità produttiva della ricomposizione teoria-prassi nel lavoro, facendo intravedere al tempo stesso le possibilità disalienanti e de-subordinanti:

 

"Da quando vado a scuola, ho notato sul lavoro che lo capisco di più e mi applico anche di più. Mi sembra come se fosse più facile il mio lavoro, perché mi sembra di capire di più  e l'organizzazione del lavoro soprattutto". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

"A volte dobbiamo risolvere in pratica dei problemi che abbiamo già fatto in teoria a scuola, e questo è importante perché così cominciamo a capire il lavoro che facciamo". [1969, Giorgina Levi Arian e altri (a cura)]

 

Attraverso ciò si arriverebbe, gradualmente, ad estinguere il potere dei gruppi dominanti, non attraverso un atto volontaristico operato da una minoranza, ma attraverso un lungo processo di generalizzazione delle capacità. E questo vorrebbe dire far avanzare gli individui e le comunità verso livelli più elevati di progresso.

 

Verso il futuro

Attraverso la lotta per la ricomposizione dell'essere umano e la riunificazione degli spazi in cui si svolge la sua esistenza, vengono a formarsi individui nuovi all'interno di nuove comunità.

E essere umano nuovo è, potenzialmente già fin d'ora, il lavoratore manuale che vuole negare sé stesso in quanto dipendente e consumatore di falsi valori; lo studente e l'intellettuale che rifiutano la loro situazione di privilegio culturale.

Là dove intellettualità e manualità iniziano a mescolarsi (lo studente-lavoratore, il tecnico devalorizzato, l'operaio qualificato, etc.) e a forze lavorative dotate di strumenti di comprensione del processo social-produttivo, corrispondono rapporti di produzione e di organizzazione sociale di tipo rigidamente gerarchico, là vengono a crearsi potenzialità di lotta in cui è il sistema stesso ad essere messo in discussione, attraverso la messa in discussione di alcune sue caratteristiche strutturali.

Perciò, operare per la generalizzazione di tale composizione (manuale-intellettuale) vuol dire agire a creare una miscela distruttiva nei confronti dell'attuale sistema di potere e anticipatrice di una diversa organizzazione social-produttiva e di un diverso essere umano. Si tratta cioè di impegnarsi per accomunare

 

"l'esistenza dell'umanità sofferente che pensa e dell'umanità pensante che viene oppressa" fino al punto in cui tale unione arrivi a "diventare insopportabile ed indigeribile per il mondo animale dei filistei che gode passivamente ed ottusamente". [Maggio 1843, Lettera di Marx a Ruge]

 

Le lotte degli anni '60 e '70 hanno, in molti casi, mostrato che

 

"i nemici del filisteismo, in una parola tutti gli uomini che pensano e soffrono, sono giunti ad una intesa per la quale in passato mancavano loro totalmente i mezzi".

"Quanto più a lungo gli eventi lasceranno tempo per riflettere all'umanità che pensa e tempo per riunirsi all'umanità che soffre, tanto più perfetto verrà al mondo il frutto che il presente porta in grembo". [Maggio 1843, Lettera di Marx a Ruge]

 

Inoltre,

 

"lo si voglia o no, i lavoratori manuali ed intellettuali, eliminando queste dipendenze con un processo rivoluzionario, libereranno i borghesi e gli altri oppressori dalle loro alienazioni, e faranno di sé stessi e degli altri degli uomini nuovi, se questi ultimi vorranno diventarlo". [1968, Documenti della rivolta studentesca francese]

 

"Forse si potrebbe far camminare per parecchio tempo col favore del vento una nave carica di pazzi; ma essa andrebbe ugualmente incontro al suo destino, proprio perché i pazzi non ci crederebbero. Questo destino è la rivoluzione, quella rivoluzione che ci sovrasta". [Marzo 1843, Lettera di Marx a Ruge]

 


 

Riferimenti

[Marzo 1843]  Lettera di Marx a Ruge in, La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma, 1969

[Maggio 1843]  Lettera di Marx a Ruge in, La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma, 1969

[1968]  AA.VV.  Documenti della rivolta studentesca francese, Laterza, Bari, 1968

[1969]  Giorgina Levi Arian e altri (a cura),  I lavoratori studenti, Einaudi, Torino, 1974

[1969]  Massimo Cacciari (a cura),  Ciclo capitalistico e lotte operaie, Marsilio, Padova, 1969

[1969]  Massimo Cacciari (a cura),  Classe operaia e capitale di fronte ai contratti, Marsilio, Padova, 1969

[1972]  Inchiesta, Rivista Trimestrale, Edizioni Dedalo, n. 7, Estate 1972

[1973]  Inchiesta, Rivista Trimestrale, Edizioni Dedalo, n. 9, Gennaio-Marzo 1973

 

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